A trazione interiore

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A trazione interiore

A trazione interiore

A trazione interiore

(They Who Are Gone – 5′, experimental, b/n)
di Giacomo Mondadori
scritto e diretto da Giacomo Mondadori montaggio Roberto Greco musiche originali
Federico Odling voce off Giancarlo Ilari direzione doppiaggio Mario Malesi
prodotto da ©Nica Film (2006)

sinossi

L’anziano archeologo Michele Dondi sogna sin da quando era bambino di trovare il leggendario sepolcro di Attila.
Quando infine lo scopre, benché venga festeggiato dalla stampa e dai suoi collaboratori, Michele realizza di essere ormai disperatamente solo: tutte le persone cui voleva bene non ci sono più.

 

note di regia

L’idea di scrivere il cortometraggio è nata quando mia madre mi ha mostrato due cartoni che contenevano uno sterminato materiale fotografico su mio nonno Alberto. Non l’ho mai conosciuto – se non da piccolissimo – a causa della sua morte prematura, ma in questo modo credo di averlo finalmente incontrato.
La “seconda vita” di mio nonno, che ho peraltro scoperto essere un eccellente attore, è totalmente diversa da quella che lui trascorse: una spudorata invenzione, che lui forse avrebbe apprezzato per alcune posizioni assunte nei confronti della vita.

synopsis

The old archaeologist Michele Dondi has been dreaming to find Attila’s legendary grave since he was a child.
When he finally discovered it – although celebrated by the press and his staff – Michele realized his desperate loneliness: all his beloved were dead.

 

director’s notes

The idea for this short comes to my mind as my mother showed me two boxes full of my grandfather Alberto’ photos. I have never met him – well, only once when I was a child – for his untimely death. Now, I guess, I’ve got the chance to meet him.
My grandfather “second life” – he was an excellent actor, I discovered – was completely different from the real one he lived, just a fansy, but I guess he would have appreciated some issues of it.

Perché girarlo?

Ho girato “A trazione interiore” per descrivere la vita di un uomo in quattro minuti e mezzo: un breve racconto, quasi un flash, che fosse in grado di condensarne la personalità, la vita privata, la carriera professionale e una sua finale (e amara) considerazione sulla vita.
Tutto doveva apparire estremamente credibile, anche se poi in realtà parlavo di una persona vera, che nella vita aveva fatto un altro mestiere e aveva avuto altre esperienze, finendo per manipolare le immagini della sua reale esistenza e facendole diventare ‘altro’.
Partire da una base di duemila fotografie da dover selezionare per sceglierne meno di un ventesimo, ha comportato un problema immediato: da dove partire e come montare il cortometraggio? Trovandoci in totale assenza di immagini in movimento, abbiamo fatto il contrario di quanto avviene normalmente. Abbiamo in sostanza montato prima l’audio, creando un filmato ‘parlato’ di quattro minuti, e successivamente abbiamo inserito le immagini.
Per dare ritmo e  verosimiglianza alla vicenda abbiamo messo in fila, molto vicine tra loro, le battute recitate dall’attore (Giancarlo Ilari), in modo che il ritmo del suo discorso fosse il più  possibile incalzante. Dopodichè abbiamo inserito una serie di fondi naturali che fossero in grado di ‘riempire’ lo spazio che andavamo a descrivere: il rumore delle armi in guerra, il bisbiglio della gente che beve durante una festa o i versi degli animali nella foresta in cui è nascosto il sepolcro di Attila, sono tutti elementi utilizzati per conferire al film un suono che fosse riconoscibile e in qualche modo familiare allo spettatore.
Oltre ai fondi, abbiamo aggiunto un refrain sonoro (un mix di una decina di suoni digitali) da collocare immediatamente dopo il “Che non c’è più”, il tormentone che perseguita il protagonista Michele Dondi. Infine abbiamo deciso che l’intera esistenza di quest’ultimo, un archeologo di fama internazionale, fosse accompagnata dal rumore del treno. Così come la sua vita era stata contraddistinta da numerosi viaggi per conoscere, esplorare e andare alla ricerca di reperti archeologi, ecco che la sua professione viene catturata dal rumore del treno, che parte all’inizio del film e si allontana alla fine, verso l’orizzonte.
Una volta costruita l’ossatura del cortometraggio grazie a questo uso del sonoro, abbiamo inserito le fotografie selezionate, alternandole a cartine geografiche, radiografie e fotografie digitali (quelle riguardanti il sepolcro di Attila sono state scattate in provincia di Terni, in un museo di rovine romane).
All’interno del film, le fotografie dei personaggi incontrati da Michele Dondi si ‘fermano’ per un istante e diventano visivamente una specie di fumetto, prima che la radiografia cerchi di richiamare visivamente l’idea palpabile della morte.
Il montaggio video è stato molto veloce, anche perché il lavoro compiuto con l’audio ci ha fatto da guida. La sequenza finale di Dondi che rivede la propria vita è stata ‘affidata’ al programma di montaggio (Final Cut), a cui abbiamo chiesto di condensare (accelerando) tutto quello che avevamo visto fino a quel momento, il tutto da mostrare negli ultimi ventitrè secondi di film. Siamo rimasti molto sorpresi quando abbiamo visto quello che aveva fatto il computer. Si trattava di una sequenza in cui la velocità delle immagini che si alternavano – una velocità quanto mai variabile e ‘casuale ‘ al punto giusto – era stata determinata da oscuri algoritmi del computer, che aveva deciso per noi. Il risultato ci ha soddisfatti e non hanno cambiato una virgola della sequenza.
Esiste anche un aspetto più privato del film: l’uomo che riconosciamo essere Michele Dondi è mio nonno. È morto tanti anni fa, ma vive sempre nella mia memoria. Lo immagino come un uomo affascinante, grandioso – ho avuto la fortuna di conoscerlo solo da piccolissimo e per pochi anni. Le fotografie che ho usato per montare me le ha mostrate per la prima volta mia madre. Erano contenute in un paio di raccoglitori e documentavano quasi tutta la sua vita. Mio nonno si chiamava Alberto Mondadori e nella vita faceva l’editore. Esistono degli accostamenti tra l’editoria e l’archeologia, nonché alcuni aspetti della personalità del protagonista molto simili a quelli di mio nonno, alcuni dei quali sono voluti, altri del tutto inconsci.
Per concludere, la musica iniziale composta dal musicista (Federico Odling) fa uso del vibrafono,  uno strumento che fa pensare a tutto ciò che si nasconde dentro di noi, nella nostra più profonda interiorità.

Titolo

Che non c’è più.

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