H.O.T. – Human Organ Traffic

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H.O.T. – Human Organ Traffic

H.O.T. – Human Organ Traffic

il film

H.O.T. – Human Organ Traffic
regia di Roberto Orazi
Uno straordinario reportage che squarcia il velo di omertà e indifferenza sul traffico di organi umani in paesi come Brasile, Cina e Nepal.
Il documentario getta luce su un sistema globale composto non solo da trafficanti, ma anche da intermediari e medici compiacenti che chiudono gli occhi di fronte all’atrocità e creano le basi per un nuovo, sconvolgente “turismo chirurgico”.

il libro

Pezzi di ricambio a cura di Giacomo Mondadori
Oltre a considerazioni sul film del regista Roberto Orazi (La storia della povertà), del produttore Riccardo Neri (Filmare una leggenda metropolitana) e del critico Mario Sesti (L’effetto farfalla), il libro analizza e approfondisce la questione con alcune delle più autorevoli voci internazionali. Gli scritti, alcuni dei quali inediti, sono di Nancy Scheper-Hughes (Un segreto di dominio pubblico Ogni dono nasconde un inganno), Toni Brandi (Le esecuzioni pubbliche di massa e il traffico di organi nella Cina del terzo millennio), Zhang Zhu (Prelevare entro quindici minuti), Alessandro Gilioli (Macelleria delle Indie), Iraji Fazel (L’Iran: i trapianti sono affare di stato), Alireza Bagheri (Un sistema etico di approvvigionamento degli organi), Nadey Hakim (Il commercio illegale di organi) e Ignazio Marino (Un atto di amore).

trailer

«Non è una leggenda metropolitana. La macelleria internazionale degli organi umani è una realtà concreta, prospera e diffusa.»

L’ESPRESSO
Year
2009
Genre
Documentary
Directed by
Roberto Orazi
Cast
Deepak Lama, Nancy Scheper Hughes, Paulo Ayrton Pavesi
Location
Brazil
Awards
Rome Film Festival – Best social documetary

 

 

libro/extra#2

La storia della povertà

di Roberto Orazi

Ero alla ricerca di un occasione importante per mettere alla prova le mie capacità di regista. Ed eccola che arriva! Un giovane produttore, Riccardo Neri, dopo aver visionato i miei lavori, mi propone di lavorare su una sua idea. Dopo alcuni incontri mi parla del progetto: Il traffico internazionale degli organi. Sinceramente, la prima reazione anche se nascosta, è stata di timore. Si, perché era un argomento di cui non ne sapevo quasi nulla, e data la vastità del tema non capivo da dove avrei potuto iniziare le mie ricerche. Ma nello stesso tempo ho percepito la potenzialità del film, la possibilità di posare il mio sguardo, su persone e luoghi poco conosciuti e poco raccontati.
Le prime informazioni su quella che sembrava essere una leggenda metropolitana, le ho raccolte ovviamente attraverso internet consultando gli innumerevoli articoli scritti da giornalisti ed esperti trapiantologi di tutto il mondo. Ma io dovevo trasformare parole, testimonianze e dati scientifici, in immagini. Pur viaggiando con la fantasia, nella mia testa non ero ancora riuscito a strutturare un idea unitaria del film. La scintilla, è stata una frase scritta sulla copertina di retro del libro di Alessandro Gilioli che diceva :“Prima di poter far diventare la povertà storia, dobbiamo considerare la storia della povertà”
Una frase, o meglio un concetto, che ti propone di considerare il tema della povertà da due punti di vista sostanzialmente differenti. Lì ho capito, che ero alla ricerca del punto di vista del film, il luogo di osservazione in cui posizionare i miei occhi e la telecamera. Ma cosa ne sapevo io della povertà nel mondo!! Come fare ad evitare una descrizione pietistica e scontata e al tempo stesso mantenere un livello stilistico interessante ?
Così continuando nelle mie riflessioni, mi ritrovo in aereo alla volta di Kathmandu, la prima tappa delle riprese. Gli scenari nepalesi mi colpirono immediatamente per la loro bellezza naturale unita alla bellezza della razza. L’eleganza della gestualità, soprattutto delle donne, i volti incredibilmente belli dei bambini che ti regalano sorrisi stupendi pur vivendo un’esistenza ai limiti della sopravvivenza. Queste considerazioni hanno influenzato da subito il mio lavoro.
A questo proposito un immagine è rimasta viva nei miei ricordi. Mi trovavo all’interno di una factory, una sorta di grande garage dove decine di nepalesi lavorano in condizioni di semi schiavitù ai telai per 16 ore al giorno, sei giorni alla settimana, percependo un salario di trenta dollari. Stavo riprendendo una giovane donna intenta nel suo lavoro, indossava un paio di occhiali da vista che le davano un’aria quasi intellettuale. D’un tratto un pianto di un neonato si mescola al rumore sordo dei telai. Non vedevo dove fosse il piccolo, ma un’istante dopo la donna si alza la maglietta e offre il seno al neonato, nel fare questo, mi guarda. Io, deglutisco l’emozione. Con la mano, faccio un cenno quasi a scusarmi. Ma lei, dopo alcuni istanti mi risponde con un lieve sorriso, come a concedermi il permesso di continuare a filmare. Queste contraddizioni emozionali mi hanno accompagnato durante tutte le riprese in Nepal, da una parte il quotidiano che mi offriva spunti incredibili, dall’altra il mio senso etico che tentava di rispettare quella realtà che era però il tema del film. Anche l’incontro con Deepak, un giovane nepalese che aveva deciso di vendere il suo rene per comprare un pezzo di terra dove coltivare riso e lenticchie per lui e la sua famiglia, è stato molto particolare. Lo abbiamo incontrato nel suo villaggio , nella zona del Terai, dopo cinque ore di cammino . Siamo arrivati davanti ad una capanna.
Lui viveva li, con la sua famiglia e la sua giovanissima moglie. Avevo poco tempo a disposizione, così dopo aver scelto l’inquadratura lo abbiamo intervistato. Il suo imbarazzo era evidente. E’ tornato con noi a Kathmandu, e durante il viaggio di ritorno ho deciso che avrei raccontato la sua odissea, ripercorrendo la sua vita fino al momento della decisione di mettersi sul mercato. E’ incredibile come nonostante non avessimo una lingua in comune per parlarci, dopo un giorno, i nostri sguardi si intendevano a meraviglia!
Attraverso i nostri contatti sul posto, siamo arrivati ad incontrare i malvagi della storia, ossia i Trafficanti. Mi immaginavo personaggi loschi dall’aspetto sgradevole, ed invece mi sono ritrovato davanti a giovani uomini che avevano a loro volta già venduto il proprio rene, per poi continuare la carriera! Erano degli ex-poveri, che conoscevano il sapore della miseria e che sapevano dove trovare e come convincere nuovi potenziali donatori a percorrere il loro stesso cammino, con l’illusione che avrebbero risolto i loro problemi. Una lotta tra disperati in realtà, dove i Trafficanti si ergono al ruolo di Salvatori !
Cambiano gli scenari , dall’Asia al Brasile, una distanza considerevole, ma con mia sorpresa non cambiano di molto le dinamiche e le motivazioni, che inducono i donatori e i trafficanti che incontriamo a Recife. Quello che più mi impressionò intervistando i primi, fù l’atteggiamento cinico e lucido con il quale argomentarono la propria scelta . A differenza dei nepalesi, utilizzavano il termine donare, come a voler alleggerire e quasi a giustificare il loro atto. Paesi così diversi tra loro per cultura, religione e costume, ma che hanno in comune il problema di sopravvivere alla povertà.
Vendere una parte del proprio corpo, per una gran parte del mondo, è oggi una delle possibilità. La percezione del proprio corpo è cambiata, questo grazie anche alla scienza medica che garantisce risultati eccellenti. Ma a quale prezzo ? Corpi svuotati che vagano per il pianeta, e una nuova forma di schiavitù ormai dilagante, dove l’occidente ricco è ancora una volta protagonista in negativo.
La grande opportunità che questo film mi ha offerto, è stata quella di entrare in contatto profondo con l’umanità. Ho ascoltato e osservato tante storie, ogni persona che ha testimoniato la propria vicenda mi ha regalato una parte della propria intimità. Io dal mio canto, ho cercato di non dare giudizi, ma di raccontare rispettando la vera essenza e la bellezza, di ognuno di loro.

libro/extra#1

Filmare una leggenda metropolitana

di Riccardo Neri
E’ nato tutto per una pura coincidenza. Un amico regista che mi chiede un aiuto nel realizzare uno spot sociale sul traffico di organi. Io accetto e mi incuriosisco. Inizio una banale ricerca, che come l’80% della popolazione mondiale, vede il primo passo nello scrivere una parola chiave nella stringa bianca di Google. “Organ trafficking”, “Kidney on sale”, premo il tasto enter e mi si apre davanti agli occhi un mondo. Da quel momento ho avviato una lunga ricerca, scioccante, imprevedibile, per certi versi inaccettabile.
Da li è nato H.O.T., più che un film-documentario, lo definirei un’esperienza, almeno per quanto mi riguarda. L’esperienza di viaggiare e di raggiungere angoli della terra dove da turista non andrei mai, l’esperienza di incontrare persone, esseri umani così diversi da me, l’esperienza di condividere con le eccellenze della medicina, del giornalismo dell’antropologia, momenti di studio e di ricerca. Un’esperienza non ancora terminata, che ci sta portando in giro per il mondo a festival ed eventi, a ritirare premi e riconoscimenti, ad intervenire ad incontri sul tema.
H.O.T. è tutto questo. Non potevo fare altrimenti. Sentivo il bisogno di raccontare e di dover comunicare alla massa, dell’esistenza di questo grande ma sommerso problema sociale. Lo strumento a mia disposizione era ciò che faccio per vivere, e così è nata l’idea del documentario. La ricerca mi ha portato a selezionare un regista, Roberto Orazi, che a mio avviso ha tutte le giuste caratteristiche per trattare questo tema: sensibilità, spirito di sacrificio, umiltà e curiosità. I nostri punti di vista hanno trovato subito affinità nelle scelte stilistiche, autoriali e produttive.
Roberto non voleva fare un reportage, ma era impossibile non farlo. Ha scelto di raccontare storie, dando il giusto spazio all’aspetto cinematografico, curando le ambientazioni, i dettagli del background della scena, ricercando il giusto momento per avere la luce giusta. Il risultato è proprio ciò che entrambi volevamo. La ricerca effettuata aveva portato ad una conoscenza del problema, Roberto aveva scritto una serie di trattamenti, ma eravamo in qualche modo fermi, cercando di capire da dove iniziare, come avviare le riprese e raccontare le storie e di chi? La lettura dell’articolo di Alessandro Gilioli, e il successivo incontro ha dato l’input a partire. Prima tappa Nepal, stessi posti dove Alessandro aveva precedentemente realizzato il suo articolo, stessi luoghi, stesse persone, stesso iter.
Ultimo tassello, un bravo fotografo. Ritengo essenziale che momenti ed esperienze di questo tipo vadano sempre fermati con immagini fotografiche. Sale a bordo Niccolò Guasti, fiorentino, fotografo giovane ma di eccellente talento e gusto. La squadra è fatta e un po’ incerti sul da farsi, ma fiduciosi che stavamo navigando nel giusto mare, partiamo alla volta di Kathmandu. E’ novembre del 2007.
Per una volta nella vita, ho fatto quello che nel mio mestiere non va mai fatto: partire per girare in un paese straniero senza aver preparato nulla. E’ la cosa più rischiosa che si possa fare. Si va incontro a giornate vuote, senza sapere cosa fare, con la macchina produttiva in funzione e i costi che scorrono inesorabili.
Arrivati in Nepal invece, non abbiamo avuto un’ora libera. 10 giorni no stop a girare e viaggiare. Incontri con donatori, mediatori, medici, scrittori, giornalisti, poliziotti. Tutti i nostri attori a disposizione, gli scenari giusti, le ambientazioni giuste. 20 ore di materiale girato. La ricostruzione della storia di Gilioli, messa in video, una nuova trattativa per l’acquisto di un rene. Da li in poi tutto è avvenuto più facilmente. Rientrati in Italia abbiamo conosciuto Ignazio Marino la cui disponibilità ed esperienza ci ha presentati al mondo medico ed antropologico. Tramite Marino arriviamo a Nancy Scheper Hughes, antropologa, massima eccellenza tra chi studia questa piaga sociale. Nancy abbraccia il progetto con entusiasmo, ci guida attraverso i suoi contatti e così arriviamo a Gaddy Tauber e Captain Ivan in Brasile, Mehemet Haberal e Yusef Sonmez in Turchia, Francis Delmonico e Alireza Bagheri negli Stati Uniti, Iraji Fazel in Iran.
Ci spostiamo in Turchia prima, e dopo qualche settimana in Brasile. Recife, una città violentissima. Mettiamo in piedi una rete di contatti, e ognuno ci guidava facilmente al successivo, e così via. Terminiamo le riprese alla fine del 2008, manca poco. In coda veniamo a conoscenza della presenza in Italia di Paulo Ayrton Pavesi, Brasiliano, vittima di questo sistema.
Nel 2000 gli viene assassinato il figlio di 10 anni a San Paolo. Lui inizia una guerra senza confine col sistema politico Brasiliano, a suo avviso, correo con le organizzazioni criminali che gestiscono questo traffico. Paulo vive ormai in Italia, rientrare in Brasile non è consigliabile, dopo 7 processi vinti. Dopo Paulo, arriva il grande aiuto della Laogai Research Foundation, presenziata da Harry Wu e da Toni Brandi. La Cina, grande serbatoio di organi umani riciclati dai condannati a morte. Harry Wu ci rilascia un’intervista e ci autorizza all’utilizzo di scioccanti immagini di sua proprietà, alcune di queste sono nel film a chiusura di un racconto agghiacciante sui comportamenti insani del genere umano.
Sono voluto andare a fondo, terminare il film con risorse finanziarie proprie, perché ho sempre creduto che fosse giusto farlo. I meccanismi del mercato cinematografico, lenti e tortuosi, non hanno mai spento la voglia di raccontare ed ultimare questo progetto. L’esperienza di questi viaggi, sul piano personale, mi ha permesso di conoscere persone semplici, povere ma pure, talvolta felici di possedere quel semplice diritto di tutti che si chiama vita.
Ogni viaggio ha lasciato in me un senso di maturità, ha colmato la spiritualità che spesso il mondo occidentale tende a non mantenere in prima linea nei valori del vivere. Sono rimasto altrettanto colpito da come la mente umana arriva a concepire determinate azioni giuste. Sentirsi dire da un mediatore che considera la sua attività benefica sia per il donatore sia per l’acquirente, che lui salva in questo modo due vite, senza minimamente concepire quanto poco umano sia, indurre, per povertà, un uomo a vendere per pochi dollari una parte del suo corpo, Tutto questo ci pone davanti a 1000 domande. L’aspetto politico del tema va considerato. Una volta chiesi a Nancy: “non sarebbe meglio avere una legge a livello mondiale, come per la droga, la pedofilia, la prostituzione?” Non avevo considerato, gli interessi economici delle case farmaceutiche, assicurative, gli aspetti religiosi e tantomeno, non avevo fatto i conti con quanto la povertà e l’ignoranza siano utili al resto del mondo.
In ultima analisi vorrei rivolgere un sentito ringraziamento a tutti coloro che ci hanno supportati durante questo lungo percorso, con lo stesso entusiasmo che noi abbiamo avuto, con la stessa devozione e professionalità.
Riccardo Neri, Roberto Orazi, Ignazio Marino e Alessandro Gilioli
Lupin Film
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