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Il film – SALINGER, di Shane Salerno

IL LIBRO

Bananafish
a cura di Giacomo Mondadori

Perché Il giovane Holden continua a entusiasmare milioni di giovani lettori? Qual è il suo segreto? Abbiamo cercato di rispondere a questa domanda indagando sulla vita del suo autore, J.D. Salinger: ragazzo, soldato, scrittore, uomo che ha cercato un altro tipo di esistenza, lontano da tutto ciò che ci si attendeva da lui. Nel libro, il regista Shane Salerno e lo scrittore David Shields raccontano la gioventù dell’autore prima che partisse per la guerra, mentre scrittori e sceneggiatori (Stefano  Bortolussi, Elisabetta Bucciarelli, CosimoCalamini, Rossana Campo, Piersandro Pallavicini), critici e giornalisti (Edmondo Berselli, Mattia Carzaniga, Masolini D’Amico, Luca Sofri) scrivono del “loro” Salinger personale. Intro di Haruki Murakami, traduttore in giapponese de Il giovane Holden.
intro by HARUKI MURAKAMI

 

Stavo traducendo “Il giovane Holden”. Molti pensano che si tratti di un libro su un bambino contro la società, ma la cosa non è così semplice. Il libro riguarda in realtà il disagio della mente. Salinger stava scrivendo qualcosa sul danno spirituale.
E noi ora sappiamo che cosa è accaduto a Salinger, e sappiamo che è una tragedia. Il suo libro ha ispirato alcuni assassini – l’uomo che ha ucciso John Lennon e l’uomo che ha tentato di uccidere Ronald Reagan. Il libro ha una qualche connessione con la tenebra nella mente delle persone, e questo è veramente importante. È un grande libro ma, allo stesso tempo, Salinger era inchiodato in quel sistema a circuito chiuso. Salinger è in un sistema aperto in quanto scrittore, ma penso che il suo libro sia ambivalente tra un sistema e l’altro. Credo che questa sia una delle ragioni della sua forza.
I’ve been translating “The catcher in the rye”. Most people think that book is about a child against society, but It’s not so simple. The book is really about the disease of the mind. Salinger was writing about spiritual damage. And now we know what has happened to Salinger, and it’s a tragedy.
His boos has inspired some assassins – the man who killed John Lennon, and the man who tried to kill Ronald Regan. It has some connection to the darkness in people’s minds, and that is very important. It’s a great book, but at same time, Salinger was close to that closed-circuit system in himself. He’s in the open system as a writer, but I think his book is ambivalent about the two systems. I think that’s one of the reasons It’s so powerful.
Rossana Campo

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©M. Fitzgerald

©M.S. Corley

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DVD/EXTRA LIBRO
IN PRINCIPIO FU J.D. SALINGER
di Giacomo Mondadori

Intervista a Rossana Campo, scrittrice purosangue e favolosa dialoghista. Nei suoi libri nulla è scontato o costruito. Oltre ai suoi ‘classici’ romanzi, ne ha scritto uno davvero potente, «Più forte di me», che ti resta dentro.

 

Rossana, raccontaci la tua prima volta con Salinger.
Adesso, in occasione di quest’intervista, ho riletto tutto Il giovane Holden. Ho letto la nuova traduzione di Matteo Colombo e ho ridato un’occhiata al testo in inglese, che però avevo letto molto tempo dopo la prima versione italiana, quella di Adriana Motti.
Poi mi sono ricordata di com’è andata la prima volta. Avevo iniziato a leggerlo e mi era piaciuto moltissimo da subito – la cosa che più mi interessava saltava immediatamente agli occhi, anche nella traduzione: era un certo tipo di lingua. Mi piacevano le ripetizioni, queste frasi che continuano a girare e a ritornare. In quel periodo stavo leggendo Gertrude Stein e anche se a prima vista possono sembrare due scrittori molto diversi, io trovavo dei ritmi che me li facevano sentire in qualche modo affini.
Nel Giovane Holden si sente subito che è una lingua non letteraria, non polverosa, o accademica. Non è il bello stile, la paginetta ben scritta. È una lingua forte, che aderisce subito al punto di vista e al mondo di chi sta parlando. C’è questo ragazzo, un adolescente disadattato, che ci sta parlando da un posto che alla fine si intuisce essere una specie di manicomio. È subito la lingua del perdente, lui che si annuncia come uno che ha avuto uno schifo d’infanzia e che ci racconta di quando si è messo a guardare dall’alto di una collinetta i suoi compagni del college che stavano giocando una partita di football per vedere se riusciva a provare un senso di addio. Lo hanno sbattuto fuori perché ha dimenticato tutta l’attrezzatura della squadra di scherma sulla metropolitana, e per altre cose, probabilmente. Ecco, c’è immediatamente questa cosa stupenda per me, come lettrice e come scrittrice.  Abbiamo conosciuto subito l’eroe, anzi l’antieroe del libro, è un ragazzo sbandato, che guarda gli altri da un punto di vista completamente déplacé. Si sente subito che è fuori posto, che è spiazzato, incongruo rispetto agli altri, ai coetanei, alla società americana supercompetitiva, a tutto quanto. E per descriverlo c’è questa lingua formidabile, non è come in altri scrittori, dove un ragazzino viene fatto parlare con un linguaggio pulito, da adulto. Questo mi aveva folgorato. Ma non so come mai, ero rimasta sui primi due tre capitoli per un po’ di tempo. Non ero andata più avanti.
Perché?
Non so, forse era stato uno choc. Credo che questo tipo di stupore, di ammirazione totale, l’ho avuto per pochi altri scrittori: Gertrude Stein, Beckett, Céline. Mentre li leggi ti dici: porca miseria, come scrivono! Così sono rimasta ferma a questi primi tre capitoli per diversi mesi, poi ci sono tornata sopra e non l’ho più mollato. Essendo di carattere un po’ ossessivo, l’ho letto tutto, poi l’ho riletto altre tre, quattro, cinque volte. Mentre stavo scrivendo il mio primo libro, In principio erano le mutande, mi portavo in giro la mia copia, tra Genova e l’Emilia, e quel ritmo, quel modo direi percussivo, martellante, di costruire le frasi si è mescolato alle mie storie, quelle che stavo raccontando. Avevo fatto anche un viaggio da sola in Spagna, a Cadaqués, portandomelo dietro con un altro paio di libri, e lì ho iniziato proprio a studiarmelo.
Del libro mi colpivano poi altre cose a livello di contenuti, il fatto che Salinger attacchi sempre il mondo degli ipocriti, che è il mondo degli adulti, dei borghesi, dei ricchi, delle ragazze bene, e poi queste parole che ritornano continuamente, con poche varianti, la tristezza, la depressione, Holden Caufield dice continuamente: se c’è una cosa che mi dà tristezza…, se c’è una cosa che mi deprime…
Ma la sua tristezza non è qualcosa che ti butta giù, il libro non è una lettura deprimente, dato che Salinger costruisce il suo racconto con un ritmo e una lingua talmente vitali che alla fine le sue pagine hanno una grande carica, un’incredibile energia che ti fa rimanere inchiodato a questo racconto dell’universo un po’ paranoico, matto e disperato di questo ragazzo. È qualcosa che solo i grandi scrittori riescono a fare, prendi Céline, che scriveva cose terribili con questo stile rutilante…
Che effetto ti ha fatto rileggere Salinger dopo tanti anni? Al telefono mi hai detto che te lo eri un po’ dimenticato e che quando ti chiedono a quali autori ti ispiri, in genere non lo nomini.
È vero. Lui fa parte di quegli scrittori che sono diventati come dei santini, e così hai pudore a nominarli, sembra piuttosto banale inserirli nel tuo pedigree.
Mi sono anche riletta i racconti e li ho trovati strepitosi. Adesso, anche se ho quasi trent’anni in più di libri letti e scritti, continuo a rimanere ugualmente a bocca aperta per la forza di questi dialoghi. Questi livelli, nella letteratura americana, secondo me li hanno raggiunti Hemingway e Faulkner e pochi altri. Prendi il racconto Un giorno ideale per i pescibanana
… il racconto perfetto.
È incredibile. Con questa spezzettatura continua del dialogo – c’è tutto il primo pezzo con il dialogo tra madre e figlia, dove non c’è una frase conclusa. Rispetto a questa potenza di scrittura, pensa a quanto si è appiattito il panorama letterario in questi ultimi venti anni, a quanto l’industria letteraria ha perso di qualità con tutti questi dialoghetti da sceneggiature televisive, completamente fasulli, piatti, che veicolano solo informazioni per il lettore. Non siamo quasi più abituati a questi dialoghi. Che poi nel caso di Salinger il dialogo è lavoratissimo, super cesellato. Queste frasi smozzicate, con le parole non finite, una frase che si accavalla a quella successiva e dà un’idea di immediatezza totale facendo sembrare spontaneo qualcosa che nasconde un grande lavoro. Adesso sappiamo anche quanto Salinger lavorasse ossessivamente i suoi testi, quindi la forza dello stile, questo senso di apparente immediatezza, di apparente parlato, rivela una sapienza letteraria acutissima, frutto di un lavoro scrupoloso. Perché le frasi non ti vengono così… anche se sei Salinger. Gli scrittori come Salinger sono gli ‘eroi’ letterari a cui ritornare per non morire di questi racconti banali che ci sono in giro. Se leggi alcune cose che sono in circolazione oggi senza sapere a chi appartengono vedi frasi tutte uguali, che potrebbero essere attribuite a una donna, o a un uomo, a un giovane, a un vecchio, potrebbero essere una traduzione dall’inglese oppure no. Non cambierebbe nulla.
Come hai trovato la nuova traduzione di Matteo Colombo del “Giovane Holden” rispetto a quella storica, che tutti noi abbiamo letto?
La cosa buona, come prima impressione, è che Colombo l’abbia reso più italiano. È più una lingua italiana quella che si legge. Mentre la prima era un italiano modellato sull’americano – si sentiva proprio il calco dall’americano –, Colombo ha cambiato i tempi verbali – è stato abolito quasi del tutto il passato remoto. Ha usato il passato prossimo e l’imperfetto, che poi sono i tempi che noi italiani usiamo parlando, ma anche scrivendo ormai. Anche se in realtà molti scrittori sono sempre su ‘egli disse’…
Tu non hai mai scritto un libro al passato remoto.
Mi sembra una forzatura: la letteratura, dal mio punto di vista, oltre che liberare la mente, ha il compito di liberare anche la grammatica e la sintassi. Comunque nei buoni autori c’è sempre questo aumento della vitalità, un aumento della gioia… io credo che sia bello leggere per aumentare la propria gioia di vivere. E con questo non sto dicendo che desidero leggere storielle edificanti, tutt’altro. Sto parlando della capacità che alcuni scrittori hanno di raccontare con esattezza e precisione alcuni momenti della vita, nei suoi alti e nei suoi bassi. Salinger riesce a essere anche bello ‘peso’, però secondo me la forza della lingua riscatta qualunque tipo di storia che racconta.
Hai visto il documentario? Quali sono le cose che non conoscevi e gli elementi che ti hanno stupita, pur conoscendo la vita di Salinger?
Di Salinger, come tutti quelli che lo hanno letto e amato, sapevo che si era ritirato, che c’erano due o tre sue foto che circolavano e basta. Anche se poi a me non è che interessi più di tanto sapere della vita degli scrittori. Perché nei libri abbiamo qualcosa che è più della loro biografia, o dell’aneddotica. È l’essenza del loro essere, qualcosa che sta alle radici della loro storia, del loro modo di pensare il mondo.
Anche perché spesso le vite degli scrittori sono delle enormi delusioni. 
Sì, ma alla fine chi se ne frega. Non sapevo tutta una serie di particolari che hanno raccontato nel documentario, però non sono rimasta stupita. Immaginando Holden Caufield che diventa vecchio, probabilmente avrebbe vissuto quel tipo di vita, no? Come tanti artisti, anzi come tanta gente, anche Salinger probabilmente ha seminato un po’ di infelicità attorno a lui, nelle sue mogli, nei figli. Io non ho letto il libro della figlia, perché non mi interessano molto le vite degli scrittori. Ci sono delle cose belle nel film. All’inizio, ad esempio, ci sono questi pazzi che si presentano a casa sua per chiedergli aiuto perché hanno problemi sentimentali, sociali. E mi è venuto in mente che è Holden che nel libro dice che quando leggi un buon libro ti viene voglia di telefonare allo scrittore, di diventare suo amico per chiedergli qualcosa eccetera. Tutto sommato, lui aveva questa forza vitale di voler fare le cose, mezzo romantico, mezzo autolesionista. Per esempio rispetto alla guerra. Si arruola e va a finire proprio in uno dei battaglioni d’assalto e combatte per 250 giorni! È uno dei soldati americani che entrano per primi ad Auschwitz. Poi, avendo questa sensibilità scorticata, forse c’è anche una grande paura nel contatto con gli altri, ai quali ogni tanto però si apre. Lui ogni tanto esce allo scoperto, dice qualcosa. Spesso diceva: «Cosa volete da me? Ho scritto questo libro, non sono un messia». Il fatto che non volesse più pubblicare va in questa direzione.
Decidere di non pubblicare più e continuare a scrivere per tutta la vita è sbalorditivo. 
Beh, forse per noi è incredibile, ma pensa a una persona con la sua storia – un uomo fragile, provato, che si è fatto pure un po’ di manicomio – che scrive un libro che vende 60 milioni di copie, solo in America, e ogni tanto c’è qualche pazzo o qualche assassino che viene trovato con una copia del Giovane Holden, che dice che stava leggendo questo libro che lo ha ispirato! Bisognerebbe vivere quelle cose per capire davvero. Credo che se non sei paranoico del tutto lo diventi, e se lo sei già da parecchio tempo, rischi. Questa è un po’ la psicologia degli scrittori: hanno dei lati psicotici, pazzoidi, però essendo artisti, hanno anche un tipo di intelligenza che funziona bene per certe cose. Quindi credo che dal suo punto di vista sia stata una scelta giusta. A un certo punto, nel momento in cui hai raggiunto il massimo, quando hai scritto uno dei capisaldi del Novecento non solo americano, forse succede che non hai più voglia di confrontarti con quello che possono dire gli altri. Anzi, per continuare a scrivere devi trovare delle ragioni tue, interne, e forse devi uscire dal circolo letterario, dei giornali, delle recensioni, dei lettori, da tutto. Quindi lo approvo e forse lo farei anch’io in quelle condizioni…
Che cosa ti aspetti delle nuove opere di Salinger?
Mi intriga tantissimo il racconto della guerra perché lì ci sono delle cose che lui ha vissuto e che non ha mai raccontato. Me lo immagino una specie di Fenoglio americano, con dei racconti di soldati e di battaglie. Poi mi incuriosisce la storia con la donna tedesca. Lui, per metà ebreo, sposa questa presunta nazista, la porta in America insieme alla suocera e dopo un mese divorzia. Non si sa cosa abbia fatto questa donna in America. Pensando a lui, al suo stile, alla sua visione delle cose, pensa cosa può raccontare di questo matrimonio!
Mi piace anche il fatto che tornino i personaggi e la famiglia Glass. Ecco, io amo moltissimo quando negli scrittori ritornano i personaggi. Per esempio, quando in Philip Roth ritrovi Zuckerman, o una delle sue varie mogli pazze, per me è un gran godimento. Purtroppo molti scrittori lasciano questa cosa agli scrittori di genere. Ritrovare i personaggi di Salinger è come rivedere vecchi amici. Dev’essere stupendo scoprire cosa è successo, come stanno, e soprattutto come è cambiata la scrittura di Salinger. Essendo uno scrittore vero, che non scriveva per finire nella classifica dei bestseller, credo che le sue fissazioni e i suoi tic linguistici ci siano sempre, ma con venti, trenta, cinquant’anni di più di cose vissute, lette, pensate e scritte. Quindi credo che mi aspetto moltissimo. A un certo punto girava la notizia che questi racconti inediti qualcuno li avesse letti e trovati molto deprimenti. Chi se ne importa! Probabilmente non avrà più l’energia dei suoi trent’anni, ma io li leggerò tutti. Come succede per esempio con Philip Roth, anche lui ha deciso di smettere di scrivere, ma a ottant’anni, e sicuramente nei suoi ultimi libri troviamo dei momenti di cupezza, di disperazione legati alla vecchiaia, però è sempre Roth, rimane sempre lui e io sono felice di leggerlo. Secondo me, le diverse opere dei grandi scrittori a un certo punto è come se diventassero un solo libro, un unico meraviglioso romanzo.
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