Potiche

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Potiche

il film

di François Ozon
“Potiche”, in francese, è un qualsiasi oggetto in ceramica, senza pregio, da sempre immobile in quale angolo della casa. Solo Catherine Deneuve, il volto per eccellenza della “leggerezza” borghese, l’icona buñueliana della dissimulazione, poteva interpretare questa bella statuina che sostituisce il marito alla guida dell’azienda di ombrelli di famiglia e si scopre capace di salvarla navigando nel mare infido della politica e dei rapporti sociali.

il libro

Scioperi e ombrelli a cura di Giacomo Mondadori
Il libro contiene un saggio critico del critico Enrico Terrone sulla carriera di Ozon, interviste al regista e a Catherine Deneuve, una rassegna stampa sul film con recensioni di Davide TurriniMassimo BertarelliLietta TornabuoniDario ZontaThomas Sotinel e Ilaria Feole. Per concludere in bellezza, c’è anche il finale della pièce teatrale Potiche, di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy (1983), liberamente adattata da Ozon.

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EXTRA/LIBRO

intervista con Catherine Deneuve

François Ozon le ha parlato del progetto di POTICHE –LA BELLA  STATUINA in una fase molto precoce…
Sì, come per 8 DONNE E UN MISTERO. Ho seguito il film dalla sua genesi, in tutte le fasi di lavorazione, sino alla fine. Mi piace partecipare a un progetto fin dall’inizio per riuscire a capire veramente tutto, a dare il mio parere, a discutere. Ho cercato di andare nella direzione desiderata da François, un regista che spiega molto bene quello che fa e quello che vuole fare. Alcuni attori amano iniziare a lavorare quando la sceneggiatura è definita, ma io preferisco essere coinvolta un po’ prima. Ho bisogno di avere l’apporto di tutti in modo che il personaggio si delinei poco a poco. Non riesco a costruirlo da sola prima delle riprese. Ho le mie idee, ovviamente, ma non sono capace di dare vita a un personaggio se resto nell’astrazione.
Qual è stata la sua prima reazione al progetto?
Conoscevo Jacqueline Maillan, ma non la pièce di Barillet e Grédy – peraltro, continuo a non averla letta, né vista in scena. Ma appena François mi ha parlato di questa commedia e del progetto di adattarla l’ho trovata un’idea straordinaria. Innanzitutto per come lavora lui: conosco la sua capacità di trasgredire e di presentare in una chiave molto moderna, acuta e ironica una pièce da boulevard – e non dico boulevard in senso spregiativo. Ho subito immaginato cosa sarebbe stato in grado di fare con un soggetto simile. E poi c’era il piacere di lavorare di nuovo con lui…
Ha scritto in tempi rapidi una sceneggiatura esaltante e divertente, piena di riferimenti al presente rispetto al ruolo della donna e al suo posto nella vita sociale. Certo, in trent’anni le cose sono cambiate, ma non così tanto in fin dei conti… Per quanto sia ambientata negli anni ’70, la pièce è ancora attuale rispetto ai temi dello sciopero, del sequestro degli imprenditori, delle donne che hanno poco potere, quanto meno rispetto agli uomini… Siamo ben lontani dall’aver ottenuto la parità rispetto al potere…
Quando il suo personaggio si butta in politica, viene da pensare a Ségolène Royal…
Ho avuto in mente molti modelli e immagini di riferimento durante tutto il film a seconda delle situazioni. Immagini personali, immagini simboliche, nomi che non citerò perché distorcerei le cose o ridurrei le intenzioni. Ma di sicuro ho pensato a molte persone…
Lei stessa, negli anni ’70, era molto attiva nei dibattiti e nelle lotte in difesa dei diritti delle donne, a cominciare dal diritto all’aborto, essendo stata una delle firmatarie del “Manifeste des 343 salopes”…
Non ci ho pensato lavorando al film, ma evidentemente è nel mio DNA. Quando Joëlle, mia figlia nel film, mi spiega che non se la sente di abortire, mi rituffo immediatamente in quegli anni. Essere incinta, non volere o non potere abortire, né lasciare il marito… ricordo molto bene che erano situazioni frequenti. Le giovani donne di oggi hanno sempre goduto di questi diritti e non si rendono conto dei cambiamenti che sono avvenuti in trent’ anni. C’è da dire che sono stati incredibilmente rapidi.
Come è stato ritrovare François Ozon?
La nostra precedente esperienza di lavoro ha reso tutto molto più facile. Ci conoscevamo già un po’ e questo ci ha permesso di guadagnare molto tempo. E meno male, visto che temevo un po’ il piano di lavorazione e il fatto di essere in tutte le scene… In effetti, il ritmo delle riprese è stato incredibile, perfettamente in linea con il film. François non perde mai tempo, con lui non si aspetta mai. È veloce, intenso, vitale, incisivo, leggero, ma al tempo stesso molto meticoloso. Ho l’impressione che lavoriamo nella stessa direzione. Era un film molto scritto, con situazioni ben definite, ma all’interno di ciascuna situazione, François lasciava una grande libertà agli attori. Mi sono sentita molto vicina al film e al progetto e ho sempre avuto la sensazione di essere sostenuta.
E poi le riprese in Belgio… È sempre meglio girare fuori Parigi: ci si vede molto più spesso di quando ognuno torna a casa sua la sera e questo favorisce lo spirito di squadra. È stato un set molto gioioso e intenso, la troupe belga è stata straordinaria ed eravamo tutti tristi nel salutarci alla fine delle riprese. L’umore di un set è qualcosa di imprevedibile e dipende molto dal regista e dalla troupe. L’atmosfera durante le riprese è davvero importante per la riuscita di un film, soprattutto quando si tratta di una commedia: ci vuole una certa leggerezza e allegria in tutto. Ciò nonostante, quando ho finito di girare e ho ripensato alle riprese mi è parso che il ritmo fosse piuttosto brutale!
La sua capacità di recitare con grande naturalezza è impressionante… Il personaggio di Suzanne è divertente e toccante al tempo stesso.
Sì, suscita un misto di comicità e di emozione. Volevo assolutamente essere sincera, interpretare il mio personaggio e le varie situazioni con naturalezza, ne avevamo parlato molto con François. Ho cercato di non cadere mai nell’artificio, di essere il più ingenua possibile, di suscitare l’empatia dello spettatore nei confronti di Suzanne, di esprimere le vessazioni che subisce da un marito molto autoritario. Quindi, quando poi accede al potere, lo spettatore ha voglia di quel capovolgimento, è contento di quella sua rivalsa.
Il look di Suzanne cambia molto nel corso del film. Il lavoro sui costumi l’ha aiutata a calarsi nel personaggio?
Sì, molto. L’avevo già sperimentato in PRINCESSE MARIE di Benoit Jacquot. Quando c’è una lunghissima preparazione dei costumi, inconsciamente scatta qualcosa nei confronti del personaggio, come se gli abiti dessero indicazioni sugli atteggiamenti. Pascaline Chavanne è una costumista straordinaria. È una fucina di idee, svolge delle ricerche incredibili e poi ti fa tante proposte. Pian piano vedi delinearsi il profilo, un processo molto utile quando si tratta di un ruolo composito come in POTICHE – QUEL GENIO DI MIA MOGLIE. All’inizio, non c’erano idee precise e inderogabili. Abbiamo fatto una serie di prove costumi, affinando le riflessioni e rendendoci conto  che determinati colori e forme non funzionavano. La sfida era restare nell’epoca del personaggio stilizzandola. I costumi dovevano essere al tempo stesso buffi e credibili.
Il costume più improbabile, quando Suzanne è ancora una borghese nei ranghi, resta la tuta da ginnastica rossa che indossa all’inizio del film…
Eppure si tratta di una tuta da ginnastica rifatta in base ai modelli dell’epoca, con gli stessi tessuti. Quell’indumento indica la direzione nella quale precipiterà il personaggio, ma… ha ancora i bigodini in testa! Sono stata io a proporre quell’idea, per spezzare l’immagine troppo moderna della tuta da ginnastica. Se invece avesse avuto una fascia tra i capelli, sarebbe stata subito l’emblema della borghese liberata, mentre non lo è ancora. Bisognava trovare un look più sfalsato per quella prima scena, in modo da indicare subito il tono del film.
E ritrovare Gérard Depardieu?
Sono anni* che ci ritroviamo periodicamente… E ogni volta è una conferma. Gli voglio bene e lo ammiro moltissimo: è un attore di grande presenza, molto affettuoso con i suoi partner… E poi è buffo e… molto impaziente! Non ama provare, ama girare e tende a voler accelerare le cose. Meno male che François ha lo stesso ritmo rapido. Credo che Gérard si sia divertito molto a incarnare questo sindacalista, si è immediatamente calato nel personaggio, in modo molto fluido. François si è servito della sua straordinaria presenza già nella fase di scrittura delle scene. Sapeva che interpretando lui il personaggio sarebbe andato oltre il testo e le situazioni.
Invece è la prima volta che lavora con Fabrice Luchini…
Tanto Gérard lavora in modo diretto e istintivo, quanto Fabrice è molto attento a quello che ha pensato di voler fare. Quando arriva sul set, ha già costruito completamente il personaggio ed è calato nella situazione. È innanzitutto un attore di teatro. Con Gérard, puoi cambiare le cose all’ultimo minuto. Con Fabrice, è un po’ più complicato, perché utilizza una tecnica opposta a quella di Gérard. È molto brillante e autorevole. Il suo personaggio è davvero buffo e lui ha affondato nel lato nervoso, irascibile, collerico e al tempo stesso tenero, quando si rende conto che in fin dei conti nessuno è indispensabile, nemmeno lui, e che non è Citizen Hearst!
8 DONNE E UN MISTERO e POTICHE – LA BELLA STATUINA nascono entrambi da lavori teatrali, ma sono sviluppati in modo molto diverso…
Sì, per me i due film non hanno nulla in comune, a partire dal fatto che all’unità di luogo di 8 DONNE E UN MISTERO si oppongono gli ambienti multipli e gli esterni di POTICHE – QUEL GENIO DI MIA MOGLIE. E poi non è lo stesso tipo di storia. Ma soprattutto in 8 DONNE E UN MISTERO c’era molta meno emozione: era un film che si basava su altro, sulla complicità delle attrici, sul rapporto tra madre e figlie, e aveva un tono del tutto ludico.
Lei non recita in teatro, ma non ha paura di interpretare ruoli teatrali al cinema…
Sì, perché il cinema e il teatro sono due cose molto diverse. Una recitazione teatrale al cinema resta cinema. Quello che mi fa paura in teatro è l’unità di luogo, il fatto che bisogna prevedere e decidere tutto in anticipo, che tutto è già preparato e si ripete sempre la stessa cosa. Faccio un po’ fatica ad accettare tutto questo e poi ho paura a stare davanti a un pubblico, al centro di una scena. Nemmeno oggi riesco a immaginare di fare teatro.
* L’ULTIMO METRO’ di François Truffaut (1980), VI AMO di Claude Berri (1980), CODICE D’ONORE dI Alain Corneau (1981), FORT SAGANNE di Alain Corneau (1983), DRÔLE D’ENDROIT POUR UNE RENCONTRE dI François Dupeyron (1988), I TEMPI CHE CAMBIANO dI André Téchiné (2004).
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F. Truffaut mentre gira L’ultimo metrò
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