José e Pilar

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José e Pilar

il film

José y Pilar di Miguel Gonçalves Mendes (2010)
Acclamato come il miglior documentario mai realizzato in Portogallo, è il racconto di una della coppie più letterarie e famose di sempre. Una commovente storia d’amore che scorre parallela con la creazione letteraria. Un romanzo che vede la luce e rinsalda il mito di un uomo, il premio Nobel José Saramago, che ha fatto dell’etica e dell’impegno politico le Muse della sua esistenza.

«Lasciati guidare dal bambino che sei stato.»

José Saramago

il libro

Il viaggio non finisce mai – a cura di Giacomo Mondadori
Buona parte del libro è costituita dai brani di Ultimo quaderno, la raccolta di scritti che Saramago ha pubblicato sul suo blog l’anno precedente la sua scomparsa.
I contributi di amici o scrittori sono di Eduardo Galeano (L’addio), Roberto Saviano (Il mio maestro Josè), Maurizio Maggiani (Rimpiangeremo il Dio di Saramago), Giancarlo Depretis (Il mio generoso amico Saramago, un uomo dagli albori dell’umanità), Elisabetta Bucciarelli (Come Lawrence d’Arabia) e Paolo Flores d’Arcais (Saramago e la “minaccia per il gregge”.

José Saramago e Gabriel Garcìa Màrquez

IL FILM

L’addio

di Eduardo Galeano
Se n’è andato, ma è rimasto. Non voglio trasformare in parole le emozioni.
Dico che in questo mondo ci sono finali che sono anche inizi, morti che sono nascite.
E di questo si tratta.
È sempre stato a lato dei perdenti.
Ci mancherà, ma continuerà a risuonare dai suoi libri.
Come ha detto Mario Benedetti un anno fa: «Ci sono cose che si dicono tacendo».
EXTRA/LIBRO

Come Lawrence d’Arabia

di Elisabetta Bucciarelli

 

Quello che rimane impresso nel cuore dopo aver letto José Saramago, è la comprensione che non tutto si può con le parole. Ed è tanto più chiaro quanto più a svelarlo sia lui, giocoliere, artista, trampoliere, artigiano, poeta e letterato, mago della parola, appunto.
Tra le tante e tutte che utilizzò per le sue scritture emerge spesso e poeticamente la ricerca del silenzio. Silenzio che dice, silenzio che è necessario, silenzio che è una conquista. Resta sempre qualcosa che non si riesce a nominare, a mostrare, condividere, afferrare anche e nonostante le rincorse alfabetiche. Nell’economia di una nuova ecologia della parola, José Saramago è stato e continua a essere il Maestro perfetto. Basterebbe mettere a segno una o due definizioni ben pensate, diceva lui, al posto di centinaia o migliaia di pagine. Eppure poeti e scrittori ne continuano imperterriti, tutti insieme, ogni giorno, a comporre milioni di milioni. Come possa accadere quest’azzardo è inspiegabile se non nella certezza che l’invenzione abbia la probabilità di sfiorare quella correttezza vicina alla verità più di qualunque altra cosa.
Le parole altro non sono infatti che i colori della vita e i colori non possono resistere al desiderio di essere parole. S’illumina il pensiero di chi scrive quando diviene chiaro che un verbo è pigmento e un sostantivo un tratto, che scrivere in prima persona è un’amputazione perché rende impossibile svelare il pensiero altrui e che sempre in ogni circostanza letteraria stiamo facendo, che si voglia o meno, autobiografia, in equilibrio tra sacro fuoco creativo e quotidianità.
José Saramago, Nobel tra le stelle del firmamento letterario, ha il potere di accendere luci, è uno scrittore combattente che provoca coscienza. Domande semplici e chiare: Chi sarà mai l’autore prima ma soprattutto dopo aver scritto un libro? Chi era Stendhal prima di scrivere la Certosa? E dopo averla scritta, chi è diventato?
Dal buio dove l’impegno letterario e umano si muove come un cieco che in una stanza scura cerchi affannosamente il suo cappello nero (tolto un’ora prima), l’uomo ha il dovere etico e politico di liberarsi dalla banalità venduta, dialogando con l’opera riservata, quella che nessun prezzo potrà mai pagare. Sto provando, in questo istante, a scrivere con le sue parole e dirò quindi che già sta succedendo quello che profeticamente nel 1976 scrisse. Stiamo facendo entrare in una notte superficiale, ma già eterna, i colori dell’errore e i gesti sbagliati che ve li avevano messi. Eccola la magia di SaraMago, presta la penna per dire e chiamare. Suggerisce una prospettiva allargata per venirne fuori, perché è cosa facile, c’è un modo solo di fare il Don Chisciotte: ingrandire gli ideali. A patto però di riuscire a immaginare il deserto. Guardare il deserto come Lawrence d’Arabia ha fatto nel film, spopolare tutto, creare il silenzio perfetto. L’essenziale. Come accade dopo aver riletto il Manuale di pittura e calligrafia. Riguardare al contrario l’opera di partenza che pure potrebbe essere anche quella di arrivo. Una rivoluzione che dalla consapevolezza approda a una trasmutazione. Da una forma d’arte all’altra, dalla pittura alla scrittura, dall’Italia al Portogallo (vale anche il contrario), dalla dittatura (anche quella della banalità) alla democrazia.
Questione di polso.
Un transito faticoso, una muta, il cambio di pelle che, come nel Manuale accade ad H. pittore privo di talento, potrebbe facilmente applicarsi a questa nostra epoca. Al nostro presente. A noi. Risalire il pendio è anche ridiscenderlo. Dall’ultima pietra della salita si coglie qualcosa di nascosto, un villaggio, un crepaccio, un animale, un fiore e proprio in quell’istante già il piede è pronto a scivolar giù. Profetico, rarefatto, immaginifico, aveva chiaro fin da subito e rivelava con la fantasia che il problema vero non è una mancanza, ma una presenza. E colui che scrive (o immagina o tutte e due le cose insieme) è vedente e visto e per questo, sempre magicamente, sente che qualcosa si sta avvicinando. Qualcosa sta per succedere. Un atto creativo, artimmagie, bartimmagie, barthesmagie, indagini notturne. Chiniamo la testa per guardare la pianta dei piedi e per valutare la resistenza al suolo che calpestiamo, dice H., ma poi la testa si rialza: gli occhi vedono già avanti, valutano il suolo futuro. Questo significa procedere. Questo ci ha lasciato l’Autore. Ne abbiamo necessità e lo sappiamo bene.

http://www.elisabettabucciarelli.it/

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